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La farmacoresistenza interessa ancora oggi un terzo della popolazione affetta da epilessia, nonostante la continua disponibilità di farmaci con meccanismi d’azione innovativi rispetto a quelli convenzionali. Tra i più recenti farmaci anticrisi (ASMs-Anti Seizure Medications) approvati per il trattamento aggiuntivo delle crisi epilettiche ad esordio focale con o senza evoluzione a tonico-clonica bilaterale§ emerge il cenobamato (CNB), farmaco dotato di un duplice meccanismo d’azione.
Da un lato, CNB agisce come modulatore allosterico positivo del recettore GABAA in un sito d’azione non benzodiazepinico, dall’altro inibisce preferenzialmente le correnti persistenti dei canali del sodio voltaggio-dipendenti ed in misura minore le correnti transitorie di sodio. L’interazione di CNB con i recettori GABAA ed i canali del Na+ voltaggio-dipendenti differisce pertanto da altri ASMs e ciò potrebbe spiegare il suo ampio spettro di attività nei modelli animali di crisi focali e generalizzate, come anche la sua marcata efficacia dimostrata negli studi clinici registrativi.
Rispetto agli altri farmaci anticrisi di recente introduzione (brivaracetam, eslicarbazepina acetato, lacosamide, perampanel, zonisamide), CNB ha dimostrato di essere associato a più alti tassi di libertà da crisi e di percentuali di pazienti responder, con effetti indesiderati correlati con l’incremento della dose. Tuttavia, lo schema di titolazione posologico raccomandato per CNB rende possibile una corretta gestione della risposta terapeutica, bilanciando opportunamente efficacia e tollerabilità.

 

 

L’Epilessia è una delle più diffuse patologie neurologiche croniche che colpisce circa 50 milioni di persone in tutto il mondo.1 Secondo un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Epilessia è responsabile di oltre lo 0,5% del carico globale di malattia nel mondo. Si presenta con una distribuzione bimodale per età, con picchi di incidenza nella prima infanzia e negli individui con più di 65 anni. È una malattia che affligge persone di ogni età, sesso e razza, con una prevalenza stimata in circa l’1% e un’incidenza nettamente maggiore nei Paesi a basso reddito (139 per 100.000 anni-persona) rispetto a quelli a reddito medio alto.1 Le cause più frequenti sono di origine strutturale, responsabili del 37% dei casi, seguite da cause genetiche con il 20%, e da altre cause (metaboliche, infettive, immunitarie) con percentuali ancora minori; occorre inoltre notare che nel 36% dei casi le cause restano tuttora di origine sconosciuta.2 I Farmaci AntiCrisi (FAC, o Antiseizure Medications – ASMs) rappresentano il cardine del trattamento e sono in grado, nei 2/3 dei casi, di impedire l’insorgenza delle crisi senza però correggere il processo fisiopatologico sottostante. Di conseguenza, le Persone con Epilessia (PcE) spesso necessitano di un trattamento anticrisi per tutta la vita.3 Occorre quindi garantire alle PcE la fornitura di assistenza sanitaria e servizi sociali per ridurre la morbilità, la mortalità prematura e gli esiti psicosociali avversi associati alla condizione. Fornire cure di qualità per l’Epilessia è una sfida globale, a causa della sua complessità, cronicità e considerevole comorbilità.1 Garantire il trattamento anticrisi, spesso per tutta la vita, è fondamentale in quanto la brusca sospensione dei medicinali può comportare conseguenze pericolose per la vita, compreso lo stato epilettico. Da qui l’obiettivo, sostenuto anche dall’OMS, di garantire la disponibilità, l’accessibilità economica e l’uso appropriato dei farmaci essenziali.1 Per formulare un piano di gestione razionale per queste persone, è fondamentale quindi operare precocemente una diagnosi appropriata delle singole forme di Epilessia, prevederne i decorsi clinici a lungo termine e conoscere i modelli di risposta ai FAC.3 Le Epilessie comprendono un ampio gruppo di patologie, a volte inquadrabili come sindromi con diverse etiologie, diverse presentazioni elettrocliniche e marcata variabilità negli esiti clinici. La classificazione delle Epilessie proposta dalla Lega Internazionale Contro l’Epilessia (ILAE) si basa su tre fondamentali assi diagnostici: - definizione del tipo di crisi, del tipo di Epilessia e, quando possibile, di una ben definita Sindrome Epilettica (inquadrata sulla base di specifiche caratteristiche cliniche ed EEG, spesso supportate da un’etiologia nota).4 Le crisi epilettiche vengono classificate in crisi a esordio focale, a esordio generalizzato o a esordio sconosciuto, e a loro volta le Epilessie in Focali, Generalizzate, combinate Focali e Generalizzate o di tipo sconosciuto.5 Nonostante il crescente numero di FAC disponibili, il trattamento farmacologico è efficace nel determinare la remissione a lungo termine solo in quasi due terzi dei casi. Oltre un terzo delle PcE, invece, non riesce a controllare le crisi, presentando un’Epilessia Farmaco Resistente (EFR), che nella maggior parte dei casi è caratterizzata da un’insorgenza focale.5 Il tasso di EFR è rimasto negli anni all’incirca o superiore al 30% nonostante l’introduzione di oltre una dozzina di nuovi FAC negli ultimi due decenni.3,7,8

 

 

Testata in Neurology Referenza Expert Series in Neurology - Fascicolo Anno 14, n. 1, 2024 DOI 10.57575/expser.2024.1

Dal momento che la terapia farmacologica è quella più utilizzata nel controllo delle crisi epilettiche, rispetto ad altre modalità di cura, è fondamentale per il medico la conoscenza delle caratteristiche dei principali farmaci che intende utilizzare. Tra queste, particolare rilevanza assumono le interazioni farmacologiche, considerando che una buona parte delle persone con epilessia assume una politerapia anticrisi ovvero altri farmaci concomitanti per il trattamento di patologie comorbide o intercorrenti. Anche cenobamato, come gli altri farmaci anticrisi, ha alcune interazioni farmacologiche - ampiamente evidenziate nella letteratura scientifica - che vengono riassunte in questo articolo, ma in un’ottica più clinica che farmacologica, con la principale finalità di evidenziare le più
opportune modalità di gestione delle stesse, sia per prevenire o limitare la collateralità indesiderata che per ottimizzare l’efficacia terapeutica.

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